Tempo fa in una intervista Gino Paoli diceva (più o meno): "Io non sono contro la violenza; capisco che è inevitabile tra gli esseri viventi, quindi in qualche modo essa è naturale. Ciò che invece mi ripugna è la sopraffazione, il dominare l'altro approfittando della sua debolezza" Alla luce di questo pensiero, che cosa hanno da dire i cosiddetti pacifisti ad oltranza? Non è forse una gigantesca sopraffazione la strage di ribelli ad opera del ben più forte esercito che sta avvenendo in Libia? A me pare di sì, mi pare anzi la precisa rappresentazione del pensiero di G. Paoli. Si parva licet, altrimenti riferiamoci al discorso di Obama (che continua a piacermi nonostante le mille sfighe che si è portato appresso). Che dice Obama (e a questo punto non mi interessa per nulla sapere se è in buona o in mala fede, io non sono la sua coscienza, se la vedrà lui) che dice dunque? che non si può assistere in silenzio ad una strage. Proviamo ad immaginare di assistere per la strada ad un pestaggio, poniamo due energumeni contro un rgazzetto mingherlino. Che devo fare? Dire: in nome del mio pacifismo: che si arrangi! Il mio spirito pacifista mi impone di starmene in pace e di girare la testa dall'altra parte?. Così succede? Ma come minimo chiamo la polizia, quindi: sì che mi intrometto, e se ho un bastone in mano lo uso per picchiare i due soprafattori. Dice: ma è tutta ipocrisia, quel che gli interessa è il petrolio, il gas, cioè orrende motivazioni economiche. Che si risponde? Ma (a parte che le "orrende motivazioni economiche" sono il nosto pane e non potremmo più farne senza) per fortuna che c'è il petrolio, il gas, Gheddafi con le sue enormi ricchezze: così sarà più facile trovare chi si muove per metterlo in riga. Se è vero che l'interventismo è spesso ipocrisia, è altrettanto vero, a mio avviso, che il pacifismo è in moltissimi casi un alibi, infarcito di dogmatismo ipocritico. Per questo non mi piace.
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mercoledì 30 marzo 2011
mercoledì 23 marzo 2011
compassione
"Mi dispiace per Gheddafi" ha detto l'altro ieri il nostro premier. Che cos'è, una sfida a tutto il resto (o quasi) del mondo che lo vorrebbe impiccato per tutti i guai che ha fatto e continua a fare? o un sentimento di pietas che è doveroso (o almeno accettabile) sentire anche per i cattivi ?o una tracotanza senza limiti? In ogni caso dovrebbe, il premier, farci sapere una cosa, subito, doverosamente: sapeva (lui, il premier) delle nefandezze compiute dal suo amico nei confronti del proprio popolo, la sorte che toccava ai profughi della Libia ben prima della guerra attuale, quando, respinti da Maroni e fatti tornare in patria, venivano abbandonati nel deserto? Ci deve essere un limite alla pietas umana, o meglio alle esternazioni vergognose nei confronti delle vittime: che aalmeno uno (Annunziata compresa) se li tenga per sè o le riservi al confessionale.
giovedì 17 marzo 2011
unità
C'è un momento in cui ci si sente ingabbiati nell'omologazione, nel conformismo, quello che banalizza e riduce a vuota retorica sentimenti e passioni.
Oggi in Italia la Lega & co. (bisogna pur distinguere tra due pensieri vuoti) hanno disposto le cose affinché sparisse del tutto l'amor patrio (spesso dileggiato) sostituito dal mugugno e da slogan davvero interessanti: "Oggi io lavoro - disse l'ottimo Castelli - l'Italia ha bisogno di lavorare non di festeggiare".
Poi c'è chi la butta nello storico: il Risorgimento fu borghese, no, fu popolare, e Garibaldi sì e Garibaldi no: quando mai questa gente si è trovata a disquisire su questi aspetti se non adesso in modo pretestuoso? L'Italia è qui, adesso fa un po' schifo, ma confidiamo che ce la farà.
Ma con quest'aria che tira (si litiga sul nucleare come se fosse una chiacchiera da bar e non per quello che è e che minaccia di polverizzarci tutti). con quest'aria dicevo, chi ha voglia di festeggiare l'unità? Il sentirci parte di una sola nazione? Paradossalmente, anche noi unionisti della prima ora (almeno credo, non ho letto nessun post contrario) siamo un po' infastiditi all'idea di stare con "quelli là", non abbiamo nemmeno voglia di discuterne, come un bambino che, avendo lirtigato con la mamma riguardo agli invitati al compleanno, si rifiuta di toccare la torta.
L'Italia ha auto ottimi Presidenti della Repubblica: basti pensare a Ciampi, Scalfaro, il nostro Napolitano, magari con le loro caratteropatie, ma sempre fedeli alla Repubblica e alla Costituzione, e sempre migliori della classe dirigente che li aveva espressi. Ma quello che mi è rimasto nel cuore è Pertini. Per lui, dentro di me, non esisteva fastidio per la sua retorica, brusca e sbrigativa, senza un ricamo; ero anzi felice del pressoché unanime consenso, come se fosse esso stesso un asse portante dei sentimenti di tutta la nazione, di un'opinione pubblica bipartisan. Mi piaceva quel "vecchietto" di oltre 90 anni, inerme ma solido come una roccia, che si sistemò, in piedi per tutto il tempo, accanto al maledetto tunnel di Vermicino, trent'anni fa. Non c'erano parole, non c'era retorica. Adesso Vespa ci farebbe un plastico.
Cerchiamo quindi di sentirci tutti uniti oggi, se non fisicamente almeno nello spirito.
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