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domenica 28 novembre 2010
VIRTUALE... O NO?
Da quando sono "scoppiate" le mail, quante chiacchiere, quanti messaggi, quante conoscenze e magari anche amicizie più o meno durature. Fermi qui, però. Già, c'è chi dice che non si tratta di sentimenti veri, ma solo"virtuali" che, qualunque sia il significato proprio del termine, viene comunemente inteso nel senso di "finto", non reale. Voi che ne pensate? secondo la vostra esperienza, o quella narrata da altri, pensate che ci si possa innamorare via e-mail?
domenica 14 novembre 2010
Fabio F.
Fabio F.
Non posso dire di essere una “fan” di Fabio Fazio, ma sono una sua estimatrice. Se lo confrontiamo con altri “bravi presentatori” e teniamo conto del fatto che il suo non è il mestiere di un moderatore di galline starnazzanti né di lingue pronte ad entrare in opera, bensì di un sobrio intervistatore di tranquilli artisti, di piacevoli musicisti, di interessanti personaggi che raccontano parte della loro vita, bisogna dire che ha imparato bene a fare il suo mestiere. Ed ora lo sa fare, in maniera elegante e garbata, mettendoci anche qualche semi-composta risata se il “copione” la tollera. Non sbavature, né esagerazioni, né turpiloquio (quello è riservato alla Littizzetto che lo gestisce come vuole). Si potrà dire che tanta compostezza non è spontanea, e può darsi senz’altro che sia frutto di studio. Ma magari lo studio in altri campi desse un così buon risultato!
Ma la caratteristica se vogliamo meno appariscente ma secondo me più rara e personale, è la sua capacità (che non ho mai visto in nessuno) di saper cavare da un personaggio scialbo - o che comunque non ha una statura “da pubblico”- la sua dimensione migliore. Il tetro appare luminoso e magari anche un po’ ridanciano; l’attore scemotto che diresti che non ha nulla nel cervello si dimostra capace di pensieri profondi; altri artisti, scrittori, ecc.solitamente altezzosi o insipidi, abbassano le difese o non so che altro, diventano autoironici e fanno dire a chi li vede: “Ma guarda un po’ quel cretino di XY, non lo facevo così spiritoso!”
giovedì 11 novembre 2010
numeretti
Adesso sta per concludersi se dio vuole l‘era berlusconiana; per quanto l’ottimo Panebianco, forte del suo fragrante cognome, ci abbia messo in guardia contro probabili colpi di coda. Comunque sia, adesso è tutto un pullulare di profonde riflessioni critiche su che cosa è stato il berlusconismo e come non cascarci mai più. Contemporaneamente chi fa politica capendoci qualcosa avrebbe già capito che per farla bene ci vuole più concretezza e meno frasette del tutto inutili. Ma questo scritto non riguarda Berlusconi e i suoi accoliti. O meglio, non solo loro.
Ma ci avete fatto caso di quanto la smenano con tabelle e cifre? Non parlo dei dati statistici del povero Pagnoncelli, vittima sacrificale di chi lotta per imporre la propria verità; parlo dei dati economici, il pil, la spesa pubblica, la disoccupazione e compagnia bella. E fanno bene a parlarne, si capisce. Anche perché non sono tanto difficili da capire. Ma sono dati sempre diversi! Infatti nei vari dibattiti politici e talk show, tutti con gli stessi “ospiti” che fanno il giro delle sette chiese, non ce n’è uno che sia sprovvisto di cartellina la cui lettura è di solito preceduta dalla frase: la ringrazio di avermi posto questa domanda….ho qui appunto i dati …e giù a sciorinare cifre e litanie. Qualcun altro si tiene pronto per il suo turno…allorché potrà con piena soddisfazione smentire il collega con dati del tutto diversi. Senza scomporsi. Ma porco di un cane, dove vanno a raccogliere i dati costoro? Com’è possibile che dati così importanti: il Pil, il debito pubblico, la disoccupazione, il tasso di crescita, ecc. siano così diversi da una cartellina all‘altra? Oppure barano correggendo i numeri mentre li leggono? Tanto, anche se il vicino se ne accorge, non ci fa caso…can no magna can, si dice dalle mie parti.
L'incontro
Eppure aveva sentito bene: “deliziosa“, aveva detto il signore con i capelli bianchi; e a chi poteva riferirsi se non a lei? Come se fosse sorpreso: ci aspettavamo una studentessa qualunque, mi hanno mandato questa deliziosa signora.
Il legame, un poco più stretto di una normale collaborazione, diventava più sciolto col passare dei giorni, anche se, per un altro verso, si andava rarefacendo a causa delle frequenti stanchezze di lei che le facevano a volte saltare la “lezione”, nonché delle difficoltà dell’argomento di lavoro che spesso doveva interrompersi per la decrittazione.
C’era però un altro canale che presentava minori intoppi, cioè quello delle mail, il più gradito da lei in quanto utilizzabile senza orari e contenuti precisi; infatti fu attraverso le mail che impararono a conoscersi. Scoprirono fin dall’inizio (si erano incontrati tra i “commenti” di un blog) di avere una notevole identità di vedute: a cominciare dagli attori preferitti, proseguendo per le idee politiche, perfino i programi tv di raitre piacevano ad entrambi; inoltre per forza di cose, appartenendo alla stessa generazione, avevano la stessa cultura musicale, costruita attraverso tappe assai simili. Elementi accessori, a riprova della vicinanza, un amore intenso per la canzone napoletana, in lui perché napoletano di fatto, in lei per oscure ragioni risalenti forse all’ambiente scolastico dove erano presenti parecchi compagni meridionali.
E così, una delle prime attvità che lei introdusse “a forza” nelle ore di lavoro, fu il cantare pasticciato e impreciso delle più famose canzoni napoletane: lei alla fine rimase delusa perché non era riuscìta ad insegnargli niente (anche perché lui aveva delle forti resistenze ad esibirsi), ma lui parve contento lo stesso, e lo dimostrò anche con quell’abituale predisposizione al complimento, un po’ galante ma in gran parte sincero: che bella voce! Come pronunci bene!
Il rapporto continuò, saldo e rilassato per qualche mese: erano riusciti a conoscersi bene, sia per il lavoro fatto insieme, ma soprattutto grazie all’intimità offerta loro dall’uso di Skype: è vero che lei chiese molto presto di non usare il video, perché la imbarazzava troppo, ma anche l’uso delle cuffie e del microfono contribuiva a creare uno spazio assai ridotto dove esistevano solo lui e lei. Lui era sempre molto docile: dava a lei l’iniziativa di incontrarsi o no, e a che ora: qualunque desiderio era un ordine. Fu a questo punto che lui cominciò ad usare espressioni del tipo: “qualunque cosa decidi di fare, per me è sempre un piacere: chiama, scrivi: sentire la tua voce o leggere i tuoi scritti mi rende felice.” L’espressione era forse un po’ caricata, ma aveva l’aria di essere sincero. Così lei si lasciò andare alla dolcezza e al calore di questo trattamento: la loro era una solida, affettuosa amicizia. Non occorreva chiedersi altro.
Dopo circa tre mesi dal primo incontro, vi furono dei segnali di cambiamento: lui aveva cominciato ad usare frasi più “corpose” (anche se mai propriamente volgari) del tipo: “se ti avessi conosciuta da piccola, non mi sarei lasciato scappare questa bella gallinella, oppure “tu m’intrighi”, o: “sei una bella mora”; espressioni che a lei piacevano molto perché, anche se grossolane, erano lusinghiere e spiritose. Ma fu il racconto dettagliato che lei fece, per lettera, di un suo antico amorazzo invano inseguito a scopo di seduzione, che da un giorno all’altro crollarono le barriere che facevano sì che la loro piccola storia si mantenesse nel sentiero dell’amicizia, e lui ammise apertamente che sì, certo che la voleva sedurre. Fu una confessione che, seppur piacevole, non mancò di turbarla. Dovette rivedere l’andamento, il significato, le prospettive di questa nuova realtà. La cosa più semplice sarebbe stata quella di stabilire di nuovo i confini, pronunciarsi, contrapporre la propria visione della cosa a quella di lui: ma appena tentò di farlo si accorse che non era quello che desiderava né per lui né per sé: ma che cosa desiderava, alla fine? Desiderava, in definitiva, godersi il piacere di essere ammirata, desiderata, voluta senza tanti mezzi termini: la sua risposta si sarebbe adattata alla situazione contingente. Così, se le fosse arrivato un messaggio troppo forte, che richiedeva una risposta forte (sia di accettazione che di rifiuto), per quella volta magari avrebbe preferito opporre un altolà, un richiamo all’ordine, che le era sempre consentito, diciamo, per contratto. Insomma, non stava prendendo nessun impegno, per cui si sentiva libera di comportarsi nel modo che di volta in volta avesse ritenuto più opportuno. Ma a questo punto, imprevista ed imprevedibile, capitò un’altra burrasca che la sconvolse.
Non si erano mai visti di persona, loro due. Certo, l’uso di skype faceva sì che le loro frequentazioni sembrassero svolgersi non come tra due persone distanti centinaia di chilometri, ma come due sedute allo stesso tavolo. Inoltre, a tempo perso si mettevano a guardare vecchie foto destinate a finire sul blog, quindi lui aveva “conosciuto” i suoi parenti più stretti. Insomma, era una specie di amico di famiglia. Ma, come già detto, non si erano mai incontrati; e per di più da parecchio tempo avevano soapeso gli incontri, senza che ci fosse un motivo. Lei era parecchio dispiaciuta di questa “assenza”: quando passavano alcuni giorni senza che neanche si sentissero, gli scriveva chiedendogli scusa di non essersi fatta viva prima. Ma, nonostante le premure, continuavano a non vedersi, sicché ad un certo punto lei si accorse che non se lo ricordava più. Nonostante le molte volte che avevano lavorato insieme, ella aveva fatto poco per fissarselo nella memoria: che importanza aveva, allora, ricordarsi il suo viso?
Questa, se vogliamo banale lacuna si trascinò dietro emozioni, sogni (più spesso ad occhi aperti) in una parola confusioni affettive. Se non si ricordava il suo viso, tutto poteva essere. Poteva avere un’età oppure un’altra: anzi, per comodità, sarebbe stato più utile, più sbrigativo, far finta che lui in realtà fosse uno e trino: il primo, adolescente, era quello che faceva le domande impertinenti: poi c’era quello sulla quaranta-cinquantina, il più vicino a lei come generazione:, infine quello diciamo più assiduo e innamorato, l’unico “vero”fin dall‘inizio… Per razionalizzare il tutto, la sua mente confusa stabilì anche una parentela fluttuante fra i tre: spesso fratelli, a volte padre e figlio…Ad un certo punto, credendo di ammattire, si volle spingere fino in fondo: provò a pensare che il tutto fosse un sogno: “non mi stupirei nemmeno” pensò“ se dovessi constatare che non c’è ombra delle mail che ci siamo scambiati all’inizio: non sono mai esistite”. L’ipotesi era sconvolgente: temeva di essere prossima alla follia. Per fortuna trovò tutte le mail, in perfetto ordine come giocattoli rimessi in ordine dalla mamma.
Anche dopo questo accertamento, però, non diminuì il disagio: “vedeva” sempre tre persone, tre età: per di più tutti e tre erano molto attratti da lei e non lo nascondevano. Avevano ognuno una diversa vita privata, diversa ma contigua, e quella che l’ora precedente passava per essere la moglie del primo, si comportava disinvoltamente da madre nella scenetta successiva.
Sempre in agguato le gaffes: a nessuno dei “tre” poteva dire che cosa la rodeva: come minimo l’avrebbero presa per matta. Agiva sempre con prudenza, e sempre pronta a fingere un innocente lapsus: “come ho detto stamattina a tua madre…oh!, madre! Perché ho detto “madre”?
Non c’era ombra di miglioramento: secondo i suoi calcoli del tutto approssimativi, dopo un breve periodo di impatto con la verità, nel giro di qualche giorno si sarebbe “assestata” senza alcun problema né alcun postumo della malattia che l’aveva tanto spaventata.
Macché. Più passava il tempo, più lei pareva immergersi nella pseudo-realtà, quella più inverosimile ma più affascinante: tre uomini di diversa età innamorati di lei! Un piacere mai provato.
Certe volte “osava”, quasi per mettersi alla prova: si andava ad avviluppare in trame ardue e confuse: dovette imparare a coabitare con la realtà bislacca del suo incubo.
Nel frattempo la sua “piccola storia” una e trina procedeva per una sua strada autonoma, con delle sue coerenze interne; così era del tutto naturale che i suoi tre innamorati fossero sempre più innamorati di lei : quando una persona vale, più la si conosce e più la si apprezza. Questo pensiero la rassicurava non poco, dato che la cosa che le dava più gioia e gratificazione era il sentirsi amata, senza limiti e condizioni; e su questo punto veniva rassicurata pienamente dagli stessi suoi amatori, allorché, una volta raggiunto un ottimo livello di intimità e schiettezza, lei stessa aveva preso l’abitudine (senza eccessive insistenze, ché anzi stava attenta a non essere troppo lagnosa) di chiedere: Sei innamorato di me? E la risposta era pienamente positiva, con tanto di complimenti).
Ma la confusione si allargò e si stabilizzò pienamente una volta passato un altro paio di settimane. Fu lei stessa ad accorgersene, come sempre. Avvenne che il caos cominciasse a prendersi gioco dei suoi sentimenti, allorché si scoprì a fare considerazioni del genere: (e si riferiva a tutta la gente che le si trovava d’intorno): “certo che X è più affascinante di Y: anche suo fratello Z. andrebbe bene per un’avventura; chissà se ci starebbe” Ma no, vuoi smetterla? diceva a se stessa un attimo dopo, con severità; lo vuoi capire che non c’è nessun fratello? X è figlio unico! Non solo quindi i personaggi “superflui” non se ne volevano andare, ma anzi proliferavano sempre più numerosi, e spesso andavano a sovrapporsi, come cloni, a quelli già esistenti. “Devono risarcirmi della perdita , pensava intanto, ormai sull’orlo dello squilibrio (e non si capiva bene a chi si riferisse: forse agli dei); è forse colpa mia se vollero darmi ad intendere di essere la più bella ed amata del reame?
La storia si concluse in parte positivamente. Ma nel complesso fu deludente. A quella esaltazione amorosa ed a tratti decisamente erotica, si sostituì una storia simile ad altre più modeste e miserelle: il discreto aspetto fisico e la sua vivace intelligenza avevano conquistato una sola persona: il signore con i capelli bianchi facile alle cotte con la freschezza di un adolescente (sicuramente anche il più devotamente innamorato) che, come le prometteva nei giorni del corteggiamento e della conquista, rimase sempre devotamente accanto a lei. Ed ai suoi sogni infranti.
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